Paola Dongili, Pamela Giustinelli

Economia e scelta del percorso scolastico

Abstract

At some intermediate level of education, the majority of schooling systems become stratified... The awareness that the type of training in high school carries consequences for future education and work opportunities, and that ``wrong choices'' cannot be easily or costlessly corrected, makes it very important for adolescents to be able to make a ``sensible'' choice.

The aim of this paper is to deepen our understanding of the decision processes employed by families when making the high school curriculum choice for their children in the Italian context. In order to do that we administered a survey to a sample of 14-year-old students of the Verona municipality entering high school for the first time and, separately, to their parents. The two questionnaires were designed to elicit respondents' expectations on uncertain

dimensions of the curriculum choice, as well as their preferences , and their perception of how curriculum choice was made within their family.

The first descriptive results indicate that, as expected, there may be substantial overlapping between curricular and ability tracking, also due to the suggestion criteria used by junior high orientation.

Overall children and parents seem to have reasonable expectations on future curriculum-related and post-graduation outcomes.

As hypothesized, there appears to be substantial heterogeneity in the processes families employ for making the curriculum choice, with ``cooperated protocols'' being much more frequent than unilateral decisions, and with a grater role seemingly played by children. The ambiguity of some answers of parents and children ask for a further deepening of the educational characteristics of the system and its orientation role.

1. Premessa

Scopo di questo lavoro è di offrire un’analisi dei problemi relativi alla scelta del percorso scolastico della scuola superiore dal punto di vista della scienza economica e, su questa base, illustrare i principali aspetti emersi da una preliminare analisi descrittiva dei dati raccolti su un campione di scuole superiori del Comune di Verona, all'interno della ricerca SSIS ‘Comprendere le decisioni familiari sul curricolo della scuola superiore dei ragazzi’[1].

L’interesse per i temi dell’istruzione in economia ha già una tradizione relativamente lunga a partire dai lavori del Nobel G. Becker, che interpreta la spesa dell’istruzione come frutto di una scelta in cui la stessa istruzione può essere considerata, più che una forma di consumo, un investimento analogo a quello per l’accumulazione del capitale fisico, l’accumulazione appunto del capitale umano. Si tratta di una forma di capitale sui generis che deriva dall’investimento in competenze culturali e professionali e produce reddito ma, a differenza del capitale fisico, non è commerciabile. L’interesse per questo tipo di investimento si giustifica per il rendimento, o i benefici economici, misurati dal salario che, in ambiente concorrenziale corrisponde alla produttività del lavoratore, o, in caso di asimmetria informativa, per il suo effetto di segnalazione delle competenze del lavoratore sul mercato del lavoro. Nel modello di Becker il capitale umano è in relazione diretta con la quantità di input utilizzati per produrlo, misurati o dagli anni di istruzione o dalla spesa monetaria per l’istruzione.

Il concetto di capitale umano assume, però, diverse connotazioni se si tiene presente che le competenze professionali non sono solo frutto dell’investimento in istruzione ma anche di abilità o di un processo di apprendimento sul lavoro. Queste caratteristiche rendono il processo di formazione del capitale umano una scelta complessa che dipende non solo dalle risorse economiche investite ma dall’ambiente culturale e sociale di riferimento, oltre che da aspettative di diverso tipo.

Obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare in modo più approfondito i problemi specifici relativi alla scelta dell’istruzione a livello microeconomico ponendo in luce i principali risultati della letteratura empirica sul tema. A conclusione del lavoro verranno esposti i principali aspetti di un’indagine svolta presso un campione di studenti delle scuole superiori di Verona con lo scopo specifico di costruzione di una base dati utile per l’approfondimento dei problemi di scelta in un’ottica microeconomica.

Prima di affrontare il punto centrale, riteniamo opportuno richiamare, però, alcuni elementi di un altro filone di ricerca, la teoria della crescita, con cui viene rilevata l’importanza dell’istruzione a livello di sistema economico e nel confronto fra paesi, anche per sottolineare le ricadute a livello di sistema di quelle che possono sembrare scelte complesse, ma individuali.

2. L’istruzione e la teoria della crescita

Il problema della crescita sorge, si può dire, con la stessa scienza economica, con i lavori dei classici da A. Smith, a Malthus a Marx, anche se occorre attendere la seconda metà del ventesimo secolo per uno sviluppo sistematico di questo programma di ricerca. Fin dall’inizio, però, oggetto dominante del dibattito possono essere considerate le ragioni a favore o contro la possibilità di persistenza della crescita di un paese, o di un sistema economico, e l’esistenza o meno di un processo di convergenza fra diverse economie verso lo stesso tasso di crescita. Un ruolo centrale nelle diverse argomentazioni è svolto dal fattore lavoro che, come fattore produttivo, contribuisce alla creazione del prodotto. La produttività del lavoro in relazione a quella dei beni capitali, ma anche il tasso di crescita della popolazione, sono variabili importanti nella determinazione del tasso di crescita del reddito sia nei modelli di tipo keynesiano, come quello di Harrod Domar, che in quello neoclassico di Solow. Tratto comune di questi modelli, per lo meno nella formulazione tradizionale è la considerazione dei servizi di lavoro solo da un punto di vista quantitativo, le unità standard di lavoro sono unità indifferenziate da un punto di vista qualitativo, mentre la crescita della popolazione è un fattore determinante del tasso di crescita di lungo periodo, data la tecnologia e la produttività dei fattori.

Solo alla metà degli anni ’80, con i modelli di crescita endogena[2] i servizi del lavoro vengono presi in considerazione anche da un punto di vista qualitativo aumentando così il potere interpretativo dei diversi modelli.

Nei modelli, cosiddetti, di crescita esogena, di tradizione keynesiana come quello di Harrod Domar, o dove è più evidente la tradizione neoclassica, come quello di Solow, il vero fattore propulsivo di crescita è il progresso tecnico che, però, non risulta spiegato dagli stessi modelli.

Proprio il tentativo di spiegare il progresso tecnologico porta i modelli della crescita endogena ad una diversa considerazione del ruolo del lavoro. Pur nella diversità degli approcci, la crescita come fenomeno che persiste nel tempo si ottiene abbandonando l’ipotesi di rendimenti decrescenti del capitale grazie alla considerazione di un concetto più ampio di capitale con l’inclusione, appunto, del capitale umano[3] e la produzione di nuova conoscenza grazie alle attività di ricerca e sviluppo[4].

Senza entrare nell’ampio dibattito sulle nuove teorie della crescita e, più specificamente, sul ruolo del capitale umano, inteso come stock di conoscenze e competenze, nel superare i rendimenti decrescenti del capitale, è opportuno richiamare alcuni dei punti salienti emersi nell’ambito di questa tradizione di ricerca.

Il capitale umano è una risorsa che deriva dall’investimento nelle capacità professionali degli agenti economici ed è una risorsa che, a differenza del capitale fisico, produce reddito senza essere consumata nel processo produttivo. Gli anni di istruzione provocano un’ accumulazione di conoscenza che genera delle esternalità positive che possono contrastare i rendimenti decrescenti del capitale fisico; anche l’aumento delle specializzazioni del lavoro e la nascita di nuove professioni[5] contribuiscono all’aumento della produttività e alla variazione del tasso di crescita del prodotto pro capite.

Diversità di dotazione del capitale umano e degli investimenti in R&D possono, così, spiegare le situazioni di mancata convergenza dei tassi di crescita di diversi paesi, prevista invece, nel modello tradizionale. D’altra parte, però, si aprono nuove possibilità anche a paesi in via di sviluppo nella misura in cui la diffusione della conoscenza e dell’innovazione hanno le caratteristiche di un bene pubblico, il cui consumo, cioè, non è sottoposto a vincoli di esclusione. La vasta letteratura empirica sul tema è concorde sull’importanza del contributo alla crescita da parte del capitale umano, misurato o dal tasso di partecipazione scolastica o dagli anni di scolarità, anche se la stessa innovazione tecnologica genera, a sua volta, delle esternalità che si riflettono in nuova accumulazione del capitale umano.

Il problema dell’individuazione della corretta relazione causale permette, comunque, di rilevare altri due aspetti utili per il nostro scopo. Il primo è che il capitale umano non è solo uno dei fattori produttivi di crescita ma il suo livello influisce sullo stesso tasso di crescita e questo può spiegare, ad esempio, i casi di convergenza fra gruppi di paesi. Ciò fra l’altro giustifica anche la posizione di coloro che sostengono l’esistenza di un livello critico di questa risorsa per innescare un processo virtuoso di convergenza di un sistema verso quelli più ricchi. Il secondo è una nuova linea di approfondimento empirico[6] che, prendendo le mosse dalla misurazione di questo tipo di capitale in base agli anni di scolarità, si pone il problema dell’influenza del tipo di scolarità, o percorso scolastico e dei suoi possibili effetti sulla crescita. Nel lavoro citato, ad esempio, l’accelerazione dell’innovazione tecnologica degli USA rispetto all’Europa degli anni ’90 può essere riportata anche alla maggior spesa relativa degli USA nell’istruzione di tipo generale piuttosto che in quella di tipo professionale.

L’ipotesi è, quindi, che, nel ventunesimo secolo, non è solo l’accumulazione del capitale umano che può fare la differenza nello stato di un paese e fra paesi, e cioè la qualità dei servizi del lavoro oltre che la quantità, ma è lo stesso tipo di competenze che caratterizzano questa risorsa ad avere un diverso impatto sulla crescita.

Un ultimo aspetto da considerare è che il capitale umano, in base agli anni di scolarità e di apprendimento sul lavoro, entra al pari di quello fisico, nella funzione di produzione ma sempre di più viene sottolineata l’importanza di prendere in considerazione esplicitamente le competenze acquisite per misurare la qualità, piuttosto che la quantità di capitale umano. Alcuni autori[7] dimostrano infatti l’aumento del potere esplicativo dei modelli istruzione crescita nel momento in cui si cerca di valutare la qualità del lavoro, misurata tramite i risultati di specifici test di valutazione delle competenze.

3. Le determinanti della scelta di istruzione

In parallelo all’evoluzione dei modelli della teoria della crescita, la natura e il ruolo del capitale umano costituiscono l’oggetto centrale della tradizione di ricerca che prende le mosse, appunto, dai lavori di Becker e Mincer. La scelta di un individuo di investire nel capitale umano viene compiuta confrontando i benefici e i costi dell’istruzione e, quindi, sulla base del rendimento attesodell’istruzione, e cioè dall’impatto sul reddito del capitale umano, approssimato, a sua volta, dagli anni di istruzione.

L’approfondimento di questo modello ha portato allo sviluppo di una ricca letteratura empirica per la stima del rendimento dell’istruzione. Oltre allo stimolo alla costruzione di banche dati per la misurazione del capitale umano, questo tipo di letteratura ha portato, anche ad approfondire il ruolo delle altre variabili poste in luce anche nella letteratura sociologica, come abilità, contesto famigliare, istituzioni[8].

Si tratta di una letteratura di particolare interesse per l’attenzione rivolta agli effetti distributivi e di mobilità sociale delle scelte scolastiche e le conseguenti considerazioni e implicazioni di policy.

Vi è ormai un’ampia varietà di lavori con cui si cerca di rispondere a numerose domande che rimandano, a loro volta, a problemi di efficienza e di equità dei diversi sistemi scolastici. Se il termine efficienza rimanda ad una valutazione del prodotto dell’istruzione in confronto ai costi, prodotto che può essere misurato dai risultati di test ma anche dai livelli di istruzione raggiunti, il termine equità sottolinea l’esigenza che gli effetti dell’istruzione e della formazione siano indipendenti da fattori socio economici. Per contribuire alla crescita del prodotto il capitale umano, comunque misurato, deve crescere in quantità e qualità ma questo può avvenire quanto più le scelte scolastiche favoriscono lo sviluppo e l’allocazione delle abilità individuali. La presenza di un’elevata mobilità intergenerazionale costituisce un buon indicatore di libertà d’accesso alle diverse opportunità e, quindi, di un’efficiente allocazione dei talenti individuali. Per questo vi sono numerose e diverse domande a cui questa ormai ampia letteratura cerca di rispondere. Esiste un legame tra istruzione e reddito, e il rendimento dell’istruzione è, a sua volta, funzione della stessa istruzione e, forse, del tipo di istruzione?

Quali fattori condizionano le scelte di accumulazione del capitale umano?

Quale sistema di finanziamento (egalitario finanziato dalla tassazione generale o, invece, privato) favorisce maggiormente la mobilità nel mercato del lavoro e/ o all’interno dello stesso sistema scolastico?

Anche qui scopo del lavoro non è di offrire una sintesi dei diversi problemi e dei risultati della letteratura che, fra l’altro, risultano condizionati dai metodi di stima ma anche dalle diverse realtà prese in considerazione. Per illustrare l’importanza della scelta scolastica in termini economici e sociali a livello individuale, e di sistema, riteniamo opportuno ricordare, piuttosto, alcune delle considerazioni che si sono dimostrate robuste, anche se con diverse qualificazioni, con riferimento a diversi sistemi economici.

Il rendimento atteso dell’istruzione è condizionato dal mercato del lavoro e dalla struttura istituzionale dell’economia che può favorire determinate professioni rispetto ad altre[9].La scelta di investire in capitale umano è però una scelta rischiosa[10] con costi diversi in relazione all’abilità individuale, in termini di sforzo richiesto, ma anche monetari e dove, quindi, è importante la ricchezza, o la condizione socio economica della famiglia. L’importanza del background familiare in termini economici e culturali, pur con diverse motivazioni, costituisce però un ostacolo alla mobilità intergenerazionale con possibili riflessi anche in termini di opportunità di crescita. Anche per questo diventano rilevanti gli aspetti istituzionali, quali le analisi sugli effetti delle diverse forme di finanziamento dell’istruzione. La scelta fra un sistema di finanziamento centralizzato a spese della fiscalità generale a fronte di un sistema basato essenzialmente sul finanziamento individuale può favorire, ad esempio, l’uguaglianza dei redditi ma non necessariamente una maggiore mobilità intergenerazionale[11].

Un ulteriore aspetto istituzionale che più recentemente è sotto l’attenzione della letteratura è, infine, l’organizzazione del sistema scolastico in diversi percorsi curricolari e le sue implicazioni in termini di efficienza ed equità.

La suddivisione in percorsi (tracks) può riferirsi alla strutturazione di classi omogenee per abilità o conoscenze (abilitystreaming), o a percorsi differenziati dal punto di vista delle opportunità di scelta successive sia di scuola che di lavoro (curricular tracking).

Nella prima accezione l’analisi della stratificazione, oltre che da un punto di vista psicologico e pedagogico, è importante in termini di incentivi e di risultati dell’impegno dato che la formazione di classi sufficientemente omogenee per abilità può avere riflessi sull’importanza e sul tipo di peer effect e risultati diversi in relazione agli obiettivi e all’ambiente. Nel secondo caso, la stratificazione pone l’accento sulla diversità dei percorsi in termini di sbocchi occupazionali, fra percorsi generalisti (general) che forniscono un’istruzione di base adatta a più sbocchi occupazionali, e soprattutto alla prosecuzione degli studi (università ecc.), e percorsi dedicati (vocational) all’apprendimento di competenze lavorative specifiche.

Nel nostro lavoro viene presa in considerazione la stratificazione di tipo curricolare che, in Italia, è oggetto di scelta da parte degli studenti e delle famiglie con l’inizio della scuola secondaria superiore. La diversità dei percorsi, il momento in cui avviene il processo di stratificazione (a livello di scuola secondaria o successivo) ma anche il metodo (per libera scelta o mediante un processo di selezione) sono tutte caratteristiche che influiscono sul rendimento individuale e pubblico dell’istruzione così come sulla mobilità intergenerazionale, attraverso una diversa interazione dell’ambiente familiare

4. La scelta della scuola superiore come scelta sequenziale, con incertezza, e “valore di opzione”

Pur nella diversità degli obiettivi, i diversi filoni dell’economia dell’istruzione si evolvono sottolineando sempre di più l’importanza ma anche la complessità della scelta del percorso scolastico data l’interazione di fattori più strettamente economici, come il reddito familiare e il funzionamento del mercato del lavoro, istituzionali, come l’organizzazione e il funzionamento del sistema scolastico, e personali.

Dal punto di vista della crescita e dello sviluppo del sistema un ruolo sempre più importante viene ad assumere, infatti, non solo la diffusione e il livello di alfabetizzazione, ma il tipo di conoscenze e competenze acquisite a seguito delle modifiche strutturali del mercato del lavoro. La scelta di uno specifico percorso di studio risulta avere, inoltre, un forte impatto in termini di equità e di efficienza. In un sistema a percorsi differenziati, come ad esempio quello italiano, il momento della scelta può influire sulla mobilità studentesca facilitando, o meno, il passaggio ad altri percorsi; la scelta del percorso all’inizio della scuola superiore[12] può avere effetto sulla disuguaglianza e sul rendimento dell’istruzione[13]. La scelta del percorso ha, però, anche dei riflessi che trascendono il punto di vista individuale dato che esso può influire anche sulla mobilità intergenerazionale nel mondo del lavoro[14].

La scelta del percorso è anche una scelta complessa dato che l’ambiente familiare può interagire con la struttura del sistema e può avere un diverso peso in relazione al momento in cui la scelta viene effettuata, condizionando quindi le opportunità e i risultati da punto di vista culturale ma anche nel mondo del lavoro[15].

Se guardiamo in particolare al caso italiano, diversi lavori[16] sottolineano la scarsa efficienza del sistema italiano, intesa in termini di mobilità intergenerazionale e di rendimento dell’istruzione rispetto ad altri paesi. Checchi e Flabbi[17] pongono, ad esempio, a confronto il sistema tedesco e italiano. I due sistemi sono caratterizzati dalla presenza di percorsi scolastici differenziati a livello della scuola superiore e sono, quindi, accomunati da una scelta precoce del percorso scolastico all’inizio della scuola superiore, sono però differenziati dal fatto che la scelta del percorso, nel caso tedesco, può essere definita rigida, in quanto guidata da test e dai pareri delle scuole, mentre il caso italiano è formalmente aperto lasciato alla libera scelta delle famiglie. L’analisi degli autori dei dati dell’indagine PISA sulla distribuzione delle competenze linguistico-letterarie e matematiche mostra la relativa scarsa capacità di selezione del sistema italiano rispetto al sistema tedesco (il grado di sovrapposizione delle code delle distribuzioni nei diversi percorsi è maggiore in Italia che non in Germania). La tesi del lavoro è che, in Italia, la scelta viene compiuta in una situazione di informazione imperfetta relativamente alle abilità dello studente e l’ambiente familiare è determinante nella decisione.

Una conclusione, e un’ipotesi, è, quindi, che la struttura dei percorsi può avere effetti diversi, non solo per il diverso disegno organizzativo e per il momento della decisione, ma per il modo stesso in cui la decisione viene presa, cioè per la diversa interazione fra struttura del sistema e le altre determinanti la scelta.